Il coraggio nello Shiatsu

26 Set, 2022
Reading Time: 11 minutes

La definizione di coraggio è relativa a seconda dei periodi storici, delle società e delle persone di cui si sta parlando: in questo articolo parliamo del coraggio nella nostra arte dello Shiatsu. Ci vuole coraggio per praticare lo Shiatsu? Esiste un coraggio del praticante e un coraggio particolare da parte del ricevente? Il trattamento richiede coraggio? Illustrando il suo punto di vista con storie di trattamenti, l’autore affronta queste domande cruciali per comprendere l’impegno che lo Shiatsu richiede a entrambi i protagonisti: il praticante e il ricevente.

Articolo pubblicato sulla rivista Pointers della Shiatsu Therapy Australian Association, Giugno 2022.



Era una grigia e piovosa giornata di primavera come tante altre a Bruxelles, la capitale d’Europa, dove ho praticato lo Shiatsu per quattordici anni. Una delle tante Uke mi ha parlato del suo problema: non riusciva a rimanere incinta una seconda volta e aveva iniziato un processo di fecondazione in vitro per l’ottava volta, tutte senza successo. Sentendo questo, provai ammirazione di fronte alla sua ferrea volontà di avere un figlio, ma allo stesso tempo non potei fare a meno di pensare che se la natura non le aveva concesso questa possibilità, doveva esserci una ragione. “Potresti aiutarmi con la mia nona FIV (Fecondazione In Vitro) ? Sto pensando di iniziare tra quindici giorni. All’epoca ero conosciuto per la mia relativa competenza nell’aiutare le donne per il concepimento. Su un centinaio di casi, 98 di loro erano state finalmente in grado di portare a termine una gravidanza: ho anche ricevuto annunci di nascita dalle madri riconoscenti e conservo in un cassetto tutti quei biglietti. Per tre anni di seguito sono stato oggetto di una tesi di laurea da parte delle ostetriche dell’Ospedale Universitario di Saint-Luc, il più grande ospedale della capitale. Ho chiesto alla persona di posticipare l’inizio della FIV per due mesi e di venire ogni settimana per aiutarla con lo Shiatsu il più possibile. Finalmente lei riuscì a rimanere incinta e questo fu un grande momento di gioia, ma qualche tempo dopo si scoprì che l’embrione si stava sviluppando in corrispondenza della cicatrice del parto precedente. I medici optarono per l’interruzione di gravidanza, con suo grande dolore. Dopo un lungo periodo di sofferenze, è tornata da me chiedendomi di aiutarla a preparare la sua decima FIV. Aspettai un po’ ma poi risposi di no. Se la natura non consentiva una gravidanza, non doveva insistere e che il coraggio più grande oggi sarebbe stato quello di accettare questa situazione. Insultandomi se n’è andata infuriata, dopo avermi sbattuto in faccia i soldi della sessione e aver persino sputato sul Tatami: ero davvero arrabbiato.

Un mese dopo, suo marito mi chiamò per chiedermi aiuto, poiché la donna aveva improvvisamente sviluppato un doppio cancro al seno, che si stava diffondendo pericolosamente. “Può aiutarla a guarire?” – mi chiese. La mia risposta fu di nuovo negativa: potevo pero’ aiutarla a mitigare gli effetti collaterali della chemioterapia che le sarebbe stata sicuramente somministrata. La donna subì una mastectomia bilaterale: ogni settimana mi recavo da lei in ospedale per aiutarla a superare il dolore del trattamento chemioterapico. Alla fine si é ripresa grazie alle cure ospedaliere ma anche alla sua volontà di combattere.

Un anno dopo, è tornata nel mio studio chiedendomi di parlare. Si è scusata per il suo comportamento avuto in passato e ha voluto raccontarmi la sua storia.

“Vengo dalla profonda campagna di un paese del Nord. Nella mia famiglia c’era una sorta di maledizione per cui in ogni coppia moriva il secondo figlio. Poiché ho solo una figlia, pensavo che, potendo morire lei, non avrei avuto quindi alcun figlio. Dovevo assolutamente avere un secondo figlio. Ricordo che la mia migliore amica a Bruxelles era una mia vicina di casa. In quel periodo stavo cercando di avere un figlio da anni. Un giorno, la mia amica venne felicemente a dirmi che era incinta. Il mio mondo è crollato. Le chiusi la porta in faccia e non volli più vederla. In preda alla rabbia e alla disperazione iniziai a urlare da sola in casa fino al punto di sbattere la testa contro il lavello della cucina per poi svenire sanguinante. Volevo morire per non sentirmi in grado di proteggere mia figlia da una morte certa. Fu allora che mio marito mi trovò. Da quel momento in poi, ho affrontato una FIV dopo l’altra. E non potevo accettare il tuo rifiuto a trattarmi. Ora ho bisogno del tuo aiuto per accettare e lasciar andare, perché questa storia mi fa male da oltre 10 anni.”

Il coraggio dei riceventi

Scrivo questa storia per parlarvi del coraggio nello Shiatsu. Dopo più di vent’anni di pratica, mi sono imbattuto nelle storie umane più disarmanti, più tristi ma anche più gioiose. Ma soprattutto ho visto il coraggio dei riceventi, il vero coraggio. René Ouvrard (un autore francese del XVII secolo) dice in uno dei suoi libri:

“Il coraggio esiste solo dove c’è il buon senso e non lo sfogo irrazionale di un momento. In un impeto di rabbia non si può compiere un’azione brillante: il vero coraggio richiede pazienza e rinuncia”.

Questo è esattamente ciò che accade con i nostri riceventi. Il primo coraggio è quello di rivolgersi a un terapeuta di cui non si sa nulla e che non è un medico. Il secondo coraggio consiste nel parlare del proprio dolore fisico unito alla propria sofferenza psicologica, nel raccontare la propria storia intima, familiare o professionale, compresa quella che ti fa male. Il terzo coraggio è accettare di lavorare sulle proprie paure, sui propri blocchi, sulle proprie ferite. Il quarto coraggio consiste nel perseverare al culmine del percorso terapeutico, quando il dubbio e la sofferenza imperversano. Il quinto coraggio è quello di rinascere e di iniziare una nuova vita con una rinnovata percezione di sé. Che coraggio ci vuole per liberarsi di vecchie ruoli, vecchie paure, vecchie abitudini. Come dice Forrest Gump nell’omonimo film: “La vita è uguale a una scatola di cioccolatini. Non si sa mai quello che ti capita!” Si sa cosa si ha, non cosa si otterrà, o quello che diventeremo.

Questo coraggio è l’unico modo per raggiungere la resilienza, cioè avere la forza di superare un trauma. Tutti gli esseri umani su questo pianeta sono chiamati prima o poi a soffrire: è la nostra sorte comune con la malattia, la vecchiaia e la morte. Ma non tutti gli esseri umani hanno la forza di superare questa sofferenza. Ed è qui che lo Shiatsu può rappresentare uno strumento importante per aiutare le persone. Perché è così importante? Perché non è invasivo, perché non ha di fatto effetti collaterali (o, se li ha, sono solo di breve durata), perché consente di rispettare tutti gli strati dell’essere umano ma soprattutto perché non costringe, non obbliga a nulla. Si tratta semplicemente di un sostegno, come un ausilio che si usa per il tempo necessario a guarire, per attraversare un percorso particolarmente complicato. E contando sempre al suo fianco, durante questa traversata, la presenza empatica di un operatore che non giudica, che accompagna e libera.

Il proseguo della storia che ho raccontato è che la donna si è poi liberata dall’ossessione di avere un secondo figlio per onorare in qualche modo la maledizione di famiglia. La sua unica figlia è ora una gioiosa giovane donna che studia a cui la madre finalmente dedica tutta la sua attenzione. Ha potuto tornare al lavoro dopo una lunga convalescenza e interventi di ricostruzione del seno. Da allora, come qualche volta accade dopo un trauma del genere, si è interessata alle terapie complementari e si sta formando all’ipnosi e al massaggio terapeutico. Questo può avvenire perché quando si è profondamente trasformati, ci si rende conto che le prove erano in fondo opportunità offerte per spingere a migliorarsi. Alla fine è andata persino a trovare la sua ex-vicina di casa nel tentativo di rinnovare l’amicizia che avevano avuto e con lo scopo di vedere il suo bambino.

Il coraggio è fare un passo nel vuoto

Il coraggio dei practicanti

Il grande professore americano Stephen Brown una volta mi disse che aveva smesso con lo Shiatsu e utilizzava solo l’agopuntura, perché pensava che lo Shiatsu fosse “come andare in guerra nudi”. Ed è vero! Noi operatori Shiatsu siamo completamente nudi di fronte al dolore, alla malattia o ai disturbi psicologici. Non possiamo nasconderci dietro gli strumenti, nemmeno dietro un semplice ago da agopuntura. Abbiamo solo le nostre mani. E le nostre mani trasmettono solo ciò che siamo. Ci vuole coraggio per dire a se stessi un giorno: “Ecco, mi prenderò cura degli altri senza alcuno strumento, senza nient’altro che quello che sono”. Non è un lavoro, è un atto di fede. Fortunatamente per noi, anche da studenti, ci rendiamo subito conto che la tecnica Shiatsu è abbastanza potente da ottenere risultati in tempi relativamente brevi. Ma poiché le nostre mani trasmettono solo ciò che siamo, questo ci costringe a lavorare continuamente sul nostro corpo, sulla nostra mente, sulla nostra conoscenza e sulle nostre abilità. E farlo per tutta la vita richiede un impegno che significa in una parola, coraggio. Ma il coraggio più grande del praticante è quello che gli permette di accompagnare la sofferenza degli altri senza soffrire lui stesso o, diversamente, porsi in maniera insensibile a quella degli altri. È un equilibrio delicato da trovare, che richiede un grande lavoro su se stessi. A volte i riceventi ci costringono a scavare dentro di noi per trovare le (nostre e loro) risorse. Una volta ho curato una donna che era stata abusata per anni quando era adolescente. La psicoanalisi l’aveva aiutata a comprendere la portata del suo trauma, ma il suo corpo non le dava tregua. Ogni genere di sintomo continuò a tormentarla per almeno 25 anni dopo il trauma. Al primo appuntamento le chiesi perché fosse venuta da me. Immediatamente si infuriò e disse: “Allora è così! Vuoi sapere, vuoi sapere già tutto? Sono tutti aggressori, tutti gli uomini sono uguali.” E mi ha raccontato la sua triste storia tutta d’un fiato. Mi disse che la sessione era stata meravigliosa.

Per me, invece, è stato l’inizio di un incubo. Cominciai a soffermarmi sulla storia, a rimanere segnato, a perdere il sonno e l’appetito. Mi rimanevano due opzioni: interrompere il trattamento e indirizzare il paziente a un professionista più esperto, oppure guardare dentro di me per capire perché ne ero stato così influenzato. Con l’aiuto di un amico psicoterapeuta e di un altro operatore Shiatsu, ho sperimentato la cosiddetta “svolta psicologica”. In altre parole, ero stato spostato dal mio ruolo di operatore che voleva aiutare una persona a quello di uomo associato a maltrattatori maschi. Questo violento cambiamento nel mio ruolo di professionista non era voluto dal paziente, ma di fatto avvenne. Se in me c’era sofferenza rispetto alla storia del mio paziente, era perché in me c’era un nodo da affrontare. La combinazione di psicoterapia e Shiatsu mi ha permesso di sbloccare rapidamente la situazione e di continuare il trattamento con serenità. Ma ci è voluto, come per tutti i nostri riceventi, il coraggio di entrare nei miei ricordi e nelle mie ferite per rimettermi nel mio ruolo neutrale ma empatico di uno Shiatsuka. Grazie a questo lavoro su di me, i trattamenti sono proseguiti e la persona è diventata addirittura uno dei miei studenti. Si è diplomata quattro anni dopo. Nessuno ha gridato al miracolo, essendo i ricordi dei traumi subiti ancora presenti in lei. Ma oggi era in grado di vivere più serenamente con gli uomini, di fare progetti e persino di iniziare una relazione di coppia.

Se c’è una conclusione in merito a tutte queste storie io direi questa: lo Shiatsu è soprattutto una relazione tra due persone. Ma le relazioni umane sono complesse, emozionanti, gratificanti e impegnative. Ci si può sentire scoraggiati dall’immensa portata della sofferenza umana e dalle richieste che essa pone a noi operatori. Ma se si trova il coraggio di sostenere il prossimo e di confrontarsi con se stessi, allora lo Shiatsu diventa un bellissimo percorso che porta entrambe le persone verso una maggiore luce e livello di umanità.

Buona pratica!


Autore

Ivan Bel

Traduttore

Michele Terenzoni
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