Lo Shiatsu è una Via

11 Feb, 2019
Reading Time: 12 minutes

Tra le numerose Vie alle quali abbiamo accesso al giorno d’oggi, bisogna ammettere che molte provengono dall’Asia. Ma se questo termine è sempre più utilizzato, non è sempre facile sapere esattamente di cosa si tratti. Cos’è una Via? E perché lo Shiatsu è classificato in questo ambito? Ecco alcuni elementi per chiarire la nostra riflessione.


Con l’apertura del mondo e la circolazione delle arti, delle tecniche e delle conoscenze, oggi in Occidente siamo un po’ più aperti al concetto di Via. Bisogna dire che non si tratta di un concetto del tutto estraneo alla nostra cultura, poiché durante il Medioevo avevamo anche noi questo concetto, ma non necessariamente sotto questa denominazione. L’arte dei costruttori (in particolare di cattedrali), degli scultori, dei fabbri, ma anche quella dei cavalieri, dei monaci, dei trovatori, senza dimenticare quella degli alchimisti, tutto ciò costituiva tante Vie quante ne fosse possibile intraprendere. Va detto che ai nostri giorni la maggior parte di queste Vie sono scomparse o si sono ridotte in funzione dell’evoluzione delle techniche industriali e della società contemporanea.

A partire dagli anni ’50, mentre l’Occidente del dopoguerra s’immergeva nel consumo come unica via verso la felicità, alcuni pionieri europei e americani portarono dall’India e dall’Estremo Oriente antiche saggezze come lo Yoga, la meditazione, le arti marziali, l’agopuntura… Questo fenomeno andrà amplificandosi al punto che al giorno d’oggi non si sa più se ciò che si sente e si vede siano aspetti antichi della cultura orientale oppure novità create di sana pianta per fare business.

Differenza tra tecnica e Via

A parte le Vie spirituali che cercano direttamente a connettersi al sacro, al divino, generalmente tutto comincia con una tecnica. La forgiatura, ad esempio, consiste nel rimuovere le scorie dal metallo e nel modellarlo per ottenere un oggetto il più bello possibile. Si tratta di un lavoro titanico, fisicamente spossante, che richiede tutta l’attenzione del fabbro. Non ci deve essere troppo fuoco, né troppo poco, bisogna avere la giusta temperatura, piegare sufficientemente il metallo, ma non troppo, ecc. Ma se prendete la pittura, la danza, il tiro con l’arco, il canto, la musica, vi troverete con altrettanti problemi ed esigenze. Così, nel momento in cui una tecnica impegna il corpo e lo spirito, l’artista o l’artigiano è costretto a immergervisi con il corpo, il cuore e l’anima se desidera raggiungere l’eccellenza. Ovviamente può anche decidere di non farlo affatto e accontentarsi di lavorare senza cercare niente di più. Ma, secondo la visione degli antichi, una tecnica resta una tecnica finché il suo scopo è solo quello di produrre per guadagnarsi da vivere o arricchirsi. Al contrario, se l’artigiano cercava di perfezionare il suo gesto con l’obiettivo di arrivare ad una forma di perfezione nella sua creazione, allora la tecnica diventava un supporto per tendere verso qualcosa di più grande del semplice prodotto del proprio lavoro. Questo è sempre valido anche oggi, perché è ciò che definisce il concetto stesso di “Via”.

Forgia di spade giapponesi

Anche lo Shiatsu inizia come una tecnica. Gli studenti lo sanno bene, gli inizi sono relativamente terra terra: allungare, premere, massaggiare, rilassare, ecc. Si tratta di concatenare un certo numero di movimenti (kata) con lo scopo di produrre un effetto che possa migliorare lo stato fisico di una persona. Si può effettivamente pensare che tutto ciò resti una tecnica manuale di salute, il che non è comunque poco.

Ma allora, perché i giapponesi parlano di shiatsudo o Via dello Shiatsu?

Come definire una Via?

Nel dizionario etimologico (Robert), una Via è innanzitutto definita nel suo senso concreto, ovvero una strada, un cammino. Il termine viene dall’indoeuropeo Wegh, che ha dato nell’Europa del Nord Way (inglese), Weg (tedesco) e nel Sud la parola Via (latino). La radice greca è un po’ più interessante, poiché si parla di Hodos che ha dato origine alla parola Methodos (metodo). A partire da qui, si capisce che seguire una Via richiede metodo, rigore, e quindi di seguire un insegnamento. Non è dunque possibile inventare qualcosa e autoproclamarsi, per esempio, operatore Shiatsu. Bisogna imparare le basi e i principi della tecnica, il che equivale a dire che è imperativo passare attraverso un apprendistato, spesso sotto la guida di qualcuno più anziano. Le espressioni che utilizzano questa parola sono quindi molto concrete, come “mettersi sulla Via” o “entrare nella propria Via” per dire “mettersi in cammino”. Solamente a partire dal XII secolo si comincia a utilizzare questo termine in senso figurato, proprio con lo sviluppo delle corporazioni, gilde e altri ordini di artigiani che lavoravano con e per gli ordini monastici e il clero. È così che si trovano espressioni come la Via stretta (il cammino verso il Paradiso) o la Via larga (che al contrario conduce verso l’Inferno). All’improvviso il termine Via prende l’accezione di “successione di atti orientati verso uno scopo”. Data l’influenza della religione in quell’epoca, la Via è il cammino che conduce all’illuminazione, al Divino.

Sentiero sotto i tori, Kyoto

Dall’altra parte del pianeta, cosa ci raccontano i cinesi e i giapponesi? Per designare la parola Via, utilizzarono molto presto il carattere 道 Dao (in cinese) o Do (in giapponese). Questo carattere mostra il radicale del piede che avanza o “movimento” (辶) sormontato dal termine “testa” o capo (首). Dei piedi che avanzano guidati dalla testa possono essere tradotti come “pensieri”, ma anche come “cammino della mente e del corpo”, che è esattamente la visione degli asiatici. Troviamo per la prima volta questo carattere su dei vasi cinesi in bronzo (periodo  jīnwén 金文, scritture su bronzo, Dinastia Zhou dal 1000 al 200 a.C.). Curiosamente non si trova questo carattere prima di questo periodo del bronzo, in particolare nel periodo dell’invenzione dei caratteri tramite la scrittura su gusci e ossa. Questo significa che fin dall’inizio questo carattere era legato al culto, perché non si utilizzavano i vasi in bronzo per conservare l’acqua o il vino (sarebbero stati imbevibili), ma si utilizzavano per delle cerimonie sacre. La conclusione logica è che fin dall’inizio, gli antichi cinesi hanno concepito un termine per indicare il cammino spirituale e nient’altro. Non è un caso che Laozi intitolerà la sua opera Daodejing (Classico della Via e della Virtù).

Laozi, fondatore del Taoismo

I giapponesi (tra altri popoli asiatici) non si sono sbagliati. Mentre le loro arti marziali antiche terminavano con il termine 術 jutsu (arte o tecnica, come in jujutsu 柔術), dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno trasformato le loro denominazioni sostituendo jutsu con do (Via). Il risultato è quello che oggi conosciamo in tutti i dojo sotto il nome di  Aikido 合気道 (Via dell’Unione delle Energie), Karatedo 空手道 (Via della Mano Vuota), Iaïdo 居合道 (Via della vita in armonia), Kendo 剣道 (Via della spada), Judo 柔道 (Via della cedevolezza), Kyudo 弓道 (Via dell’arco), ecc. Lo stesso vale per le arti più dolci come il Chado 茶道 (Via del tè), Shodo 書道 (Via della calligrafia), Kado 華道 (Via dei fiori). Il loro scopo era quello di realizzare una transizione semantica dimostrando che si stavano allontanando dalla mera tecnica (troppo spesso distruttiva) per entrare nella Via (cammino spirituale). È quindi logico che i giapponesi parlino di Shiatsudo (指圧道, ovvero la Via della pressione delle dita).

Nello spirito asiatico, una Via si definisce dunque come un cammino personale attraverso una tecnica o un’arte. In altre parole, una Via implica corpo e spirito in uno stesso movimento, al fine di raggiungere una forma di perfezione. Questa perfezione è molto spesso, in un primo tempo, la ricerca del gesto perfetto o dell’oggetto perfetto. Ma per questo, colui che percorre il cammino deve purificarsi mentalmente, fisicamente ed emotivamente, pena il non poter raggiungere ciò che cerca. Questo aspetto esce rapidamente dall’ambito tecnico e diventa un lavoro interiore importante. Ecco perché rituali shintoisti come Misogi [i] (purificazione) sono fondamentali in tutte le arti e tecniche del Giappone. Questo rituale cerca, come per il metallo forgiato, di purificare la persona dalle sue scorie, vale a dire dai suoi difetti, cattivi pensieri, eccessi alimentari, tossine, emozioni negative, insomma cerca di farla uscire dalla propria zona di confort per spingerla a ripulirsi e a riscoprire la purezza dall’interno. Questo ci porta direttamente alla ricerca di un risveglio personale della coscienza. Abbiamo ben superato i confini della semplice tecnica.

Misogi, la purificazione del corpo e dello spirito

In Occidente, colui che percorre la Via è anche conosciuto con il nome di “pellegrino”. Dai tempi del Medioevo, il pellegrino consuma i suoi piedi e forgia la sua determinazione su centinaia, se non migliaia di chilometri. Solo di fronte a sé stesso, l’ego che l’ha spinto ad intraprendere il cammino per dimostrare qualcosa viene rapidamente levigato dalle pietre del sentiero e dalla fatica delle gambe. Si può dire che anche il pellegrino perde la propria pelle, si spella, toglie degli strati per arrivare alla luce interiore. Si potrebbe anche tradurre pèlerin (pellegrino, in francese) come “spella-reni”, un gioco di parole piuttosto significativo alla luce della medicina cinese, poiché il Rene è ciò che immagazzina/genera/trasforma ciò che c’è di più profondo nel corpo e nell’energia: l’Essenza (Jing) e il Qi primordiale (Yuan Qi). Bisogna dunque far cadere tutti gli strati per raggiungere quella luce interiore dell’energia del Rene dove, secondo l’alchimia taoista, tutto ha origine e tutto ritorna, tutto si trasforma tra materia e luce/energia.

Lo Shiatsu come Via

Lo Shiatsu è una Via che, come tutte le altre, passa attraverso l’esperienza del corpo e consuma poco a poco la mente, l’ego e anche il corpo fisico. Bisogna provare cosa vuol dire alzarsi la mattina, andare nel proprio studio, lavorare sul proprio corpo, meditare, poi ascoltare, toccare, massaggiare, premere tutte le persone che vengono giorno dopo giorno, tutte le settimane, tutti i mesi, per decine di anni consecutivi. D’altronde questa è la ragione per la quale non si può che rispettare coloro che hanno 30 o 40 anni di esperienza nella pratica, perché è dir poco affermare che questa Via è un sacerdozio. Questo lavoro consuma le nostre barriere, i nostri giudizi, in breve, le nostre vecchie pelli, di cui ci liberiamo per alleggerirci, per ottenere una percezione più chiara, per comprendere la profondità del Qi e i messaggi del corpo, per connetterci in modo impeccabile al Cielo e alla Terra.

Qui possiamo fare un parallelo con la tecnica che sostiene tutte le altre Vie: la meditazione. Per raggiungere la profondità nella meditazione bisogna riunire tre condizioni: essere Immobili, Silenziosi e Allineati (essere nel momento presente, se preferite). È in questo stato che otteniamo i nostri momenti più belli di vita, i nostri mini-satori come mi piace chiamarli, e non necessariamente durante una sessione di zazen. Per esempio, state facendo una passeggiata in montagna e il paesaggio è così bello (mozzafiato, come si dice comunemente) che vi fermate sul bordo del sentiero solo per contemplarlo. Siete a bocca aperta. Non c’è bisogno di parlare, né di muoversi, solo assorbire e perdersi nella grazia del momento presente. In questo senso, anche lo Shiatsu ha tutti gli ingredienti di una bella Via spirituale, perché ci si muove poco, si tace, si ascolta e a volte arrivano dei veri momenti di grazia, di comunione con il paziente, ma anche con l’Universo.

Ovviamente la tecnica ci darà del filo da torcere, ci farà dubitare, lamentare e persino disperare. Ma lo scopo di tutte le Vie è quello di metterci alla prova fisicamente, psichicamente ed emotivamente. Poco a poco, anno dopo anno, si superano tappe, montagne, attraversate del deserto e delle tempeste interiori. E ce ne sono in abbondanza: solitudine, sfide da affrontare, dubbi terribili, studi che non finiscono mai, scoperte come fari nella notte, infortuni meccanici alle dita, ai polsi, ai gomiti, alle spalle, il confronto con la sofferenza, la malattia e la morte, ma anche la vita che ritorna, i messaggi dal Cielo, il tumulto interiore, la fiducia nell’Universo nonostante tutto… e questo tanto negli altri quanto in noi stessi. Proprio come nella meditazione, bisogna smettere di voler cercare, di voler riuscire e soprattutto di forzare. Solo lasciarsi trasportare dal flusso delle sensazioni e accettare di lavorare con ciò che arriva, senza giudizio o impazienza. Lavorare sulle basi ancora e ancora, perfezionare la tecnica, consultare gli appunti, riflettere, ricominciare e rielaborare. Come spesso diceva O Sensei Ueshiba, fondatore dell’Aikido: “L’Aikido è keiko, keiko e ancora keiko [ii]”. Questa frase è vera per tutte le Vie.

O Senseï Morihei Ueshiba

Scrivendo queste righe, non posso che pensare alla lunga lista di maestri che ci mostrano l’esempio di questa Via dello Shiatsu che ci mette al servizio degli altri e che – detto tra noi – sarebbe meglio chiamarla “Via dell”umiltà e delle mani”. All’inizio il praticante vuole dei risultati, poi più tardi cerca di brillare. Molto più tardi ancora, lascia cadere le apparenze, tace e si dona senza riserve. Anche gli tsubo e i meridiani diventano secondari, le teorie si cancellano ugualmente: resta la presenza pura e semplice. La Via ci insegna allora la differenza tra brillare (all’esterno, per fare scena) e l’illuminare (dall’interno, per guidare gli altri). Questa maturazione non può avvenire senza sforzo, resistenza, lavoro e tempo. Quindi ringraziate! Ringraziate i vostri pazienti per essere le pietre del vostro cammino e i maestri che sono le lampade che illuminano la Via.


Note

[i] Misogi (禊) è una pratica della religione Shinto il cui scopo è di sopprimere le kegare (impurità) con dell’acqua, ma non solo. Il termine può essere tradotto in francese come “lustration”, che significa “purificazione rituale con l’acqua”.

[ii] Keiko (稽古) significa “allenamento” e ha dato origine al nome dell’abito bianco indossato da tutti i praticanti di arti marziali giapponesi, il Keikogi (稽古着), letteralmente “indumento da allenamento”.


Autore

Ivan Bel

Traduttore

Francesca Biagini
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